Mario Scalesi, il poeta della verità



La Tunisia sul finire del XIX secolo divenne un porto di varie culture e soprattutto migranti, immigrati che sostavano tra le braccia di quel porto come di una culla e chi tra la miseria, la speranza e la mancata dignità di una vita nata forse già vinta. Tra questi ci fu un poeta,  Mario Scalesi, la cui vita si perpetrava tra l'indigenza e l'oppressione di una politica francese. Non visse il peso di altri, ovvero quello di sentirsi appartenere a due patrie, di avere una doppia identità: la madre era per metà maltese e il padre siciliano. Scalesi parlava e scriveva in francese, tant'è che quello era l'innesto del protettorato francese, che si imponeva con veemenza e fermezza.
Viene da pensare che il poeta avrebbe potuto rifiutare quella cultura, quella lingua, d'altronde le sue origini gli avrebbero permesso di rinnegare quell'obbligo di vestire un'identità forzata, ma difatti Scalesi non rinnegò nulla, forse consapevole di come un nome come l'Italia, che non aveva mai visto, non poteva bastare il solo pronunciarlo per sentirsene parte.
Scalesi non ebbe vita facile, questa è cosa certa, ma cosa ancor più certa fu il suo avvicinamento alla poesia; chi legge i suoi versi potrebbe azzardare qualche paragone ad altri poeti, ma onestamente credo che Scalesi sia semplicemente Scalesi, un poeta apparentemente innocuo alla storia della letteratura, ma immensamente grande all'ombra della sua persona. Scalesi lavora di immagini, le sue mani riportano eventi come cineprese, i suoi versi diventano le pupille del lettore e le orecchie degli uditori possono accogliere i rumori dell'emozioni che stridulano tra le sue righe. La sua è una poesia d'esperienza, ogni sua poesia è un'esperienza, complessa, diretta, dinamica, accompagnata spesso dall'assuefazione della sofferenza, ma mai lontana dalla verità.
Ho riportato una sua poesia, "Il castigo", non vorrei inquinare il pensiero di nessuno, per cui non proferirò commento in proposito, ma l'unica cosa che consiglio è di vivere l'esperienza di queste poche parole.

 Il Castigo

"(...) L'acqua bagnava il marciapiede e appannava i vetri
del bar e, sotto le luci flebili dei lampioni,
nel punto in cui, biforcandosi, le linee del tram
mostravano le loro rotaie luccicanti abbondantemente lavate,
intravidi, tra la pioggia che cadeva  e l'ombra
il mio vecchio padre curvo dentro il suo cappotto scuro.
Era lì che esercitava il suo mestiere di scambista.
Non nutriva speranza alcuna di un futuro migliore,
per lui non v'era scampo. L'acqua schizzando e cadendo
gli colava sopra il collo e gli ammollava i baffi.
Lo sentivo tossire fino a strapparglisi
i polmoni nello sforzo di sputare.
Certamente il vegliardo espiava qualche colpa.
Un essere umano non viene abbandonato, senza ragione,
nell'indifferenza, al furore del cielo.
Indubitabilmente egli era un criminale..
Vediamo: per trentasei anni, sfinito dalla miseria,
aveva lavorato per un salario magro,
sempre onesto, sempre preciso, sempre sottomesso.
Se parlava dei suoi capi, li chiamava: "amici!"
ma, allora, ciò che in  lui puniva la tempesta,
era il crimine d'essere un miserabile, d'essere onesto
e di amare troppo il proprio lavoro?
A meno che questa non fosse la sua rassegnazione."


Penso che sia evidente il suo disincanto verso la condizione che i "miseri" possano trovare conforto in chi dall'alto possa arrecare loro giustizia, così come il suo punto d'arrivo al fatto che forse non ci sia rimedio a questo e ciò che rimane è soltanto la "rassegnazione". 

A conclusione di ciò, a tutto quello che Mario Scalesi è stato, sperando che sia riuscita a dare un assaggio dell'abile penna qual era, concludo scrivendo che la sua vita si è conclusa in paradosso, in un manicomio di Palermo, proprio in quel paese che dentro il suo animo non aveva mai avuto nome, per poi essere seppellito nell'anonimia di una fossa comune.


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